Quei meravigliosi occhi di grasso

Brodo

Quei meravigliosi occhi di grasso che si formano sulla superficie del brodo. Giallognoli, cremosi, quasi rigidi se mettete la pentola al freddo. Parlano di un passato che ci è irrecuperabile, un passato fatto di nonni-bambini, stanze fredde, scaldini, geloni e scarligüra, quel primitivo patinoire fatto di neve e gelo (erano anni in cui il gelo non mancava) su cui scivolavano zoccoli di legno, piccoli sederi magri e ossuti o sontuosi deretani matronali, caduti inavvertitamente nella trappola. Parlano, mi parlano, quegli occhi, e quando sollevo il coperchio della pentola li ascolto. Ascolto loro, perché le voci che mi girano attorno mi distraggono, mi assordano. Non sono voci, sono cacofonie, rumori, nel migliore dei casi latrati. Ascolto questi occhi e vorrei accarezzarli, farli miei, guardare il mondo attraverso di essi. Così bevo una tazza di brodo. Il grasso mi fa posto accanto a sé. Salto a piè pari negli zoccoli di legno e scarligo, scarligo, scarligo, dentro la pentola ai piedi dell’arcobaleno.

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