I muscoli del capitano

capitano

Dopo la barbara uccisione del giovane pilota Muath Kasasbeh, il re ʿAbd Allāh II di Giordania, monarca fino ad oggi piuttosto incolore, il cui unico merito sembrava quello di aver sposato l’affascinante Rania, mostra i muscoli e si fa fotografare in divisa da pilota, pronto a partire per una missione contro l’IS. Un re guerriero. Non lo si vedeva da tempo. Si erano visti principi guerrieri, per esempio Harry d’Inghilterra, con un paio di missioni in Afghanistan, ma i re guerrieri erano usciti dall’iconografia contemporanea. Sarà merito del fotografo, dell’inquadratura o della mescolanza di emozioni che suscita l’immagine, ma – nonostante il principio di pancetta – il re giordano esce dalla prova in maniera efficace. Così ho pensato: tra gli altri potenti della terra quanti potrebbero permettersi una fotografia così? Obama sì, ha il fisico del ruolo. Putin sicuramente, non ha solo il fisico, ma anche l’arsenale (e probabilmente anche qualche orso corazzato, da usare in cariche di cavalleria). Hollande? Già è ridicolo vederlo andare a donne con casco e motorino, figuriamoci con una divisa. Beneficio d’inventario per Cameron (potrebbe fare il cuoco o al massimo il furiere). Tsipras più che il viso di un guerriero acheo sembra avere il cipiglio di uno dei Sopranos. Filippo di Spagna, nonostante l’educazione militare e la barba hipster sfoggiata di recente, sembra un ufficiale più da retrovie che da prima linea. Meno male che c’è Renzi. Lui in divisa ci è nato, quella da boy scout: nell’assalto – con vecchietta – alle strisce pedonali non lo frega nessuno.

Il codice Mattarella

mattarella

665. I voti che hanno consentito a Sergio Mattarella di diventare presidente della Repubblica. 665 non è un numero primo (e in effetti, almeno oggi, Mattarella non sembra essere solo), non è un numero di Fibonacci, non è nemmeno un numero perfetto. In numeri romani, 665 si scrive DCLXV. Le prime due lettere (DC) non c’è bisogno di spiegarle, le altre tre (LXV), un po’ di più. Intanto sono l’anagramma di LUX (in latino V e U si equivalgono), come a dire che Mattarella è il ritorno alla luce dell’anima democristiana che vivifica il paese da sempre; poi compongono evidentemente un numero, il ’65, anno cruciale per la dinastia Mattarella, perché è quello in cui uno studio di Danilo Dolci accusa Bernardo, padre di Sergio, di essere colluso con la mafia. Ne segue un processo, che condanna Dolci per diffamazione, ma le accuse contro Bernardo non si spengono e tornano alla luce (LVX), per bocca di Claudio Martelli, allora Guardasigilli, nel ’92, provocando le ire di Sergio (Martelli-Mattarella, due nomi un destino di scontro). Infine, nel ’65 Mattarella ha 24 anni, il doppio di 12, e da oggi è il dodicesimo Capo dello Stato. Fin qui la storia. Passiamo alla cabala. 6+6+5=17, un numero notoriamente poco favorevole, la cui cattiva fama deriva sempre dalla scrittura in numeri latini, XVII, il cui anagramma è VIXI, cioè vissi (come a dire sono morto). Ma anche i pitagorici aborrivano il 17, in quanto posto fra due numeri considerati perfetti: il 16 e il 18. Del resto, nella Smorfia napoletana il 17 è la disgrazia. E veniamo all’ultimo punto. 665 viene prima di 666, il Numero della Bestia. Quale mano ha impedito che si verificasse la funesta coincidenza di avere un presidente eletto con 666 voti, evenienza che avrebbe scatenato immediatamente ondate di complottismo? Non lo sappiamo. Attenzione però: un altro documento, il Codice 2344, risalente all’XI secolo, riporta invece un’altra versione del Numero della Bestia, il 665. Da oggi quel manoscritto si chiamerà Il codice Mattarella.

Tela e pennello, fascista modello

mussolini

In famiglia un attore c’è già – zia Sofia – c’era anche un musicista – papà Romano – mancava il pittore. Per rimediare al vulnus, Alessandra Mussolini ha comprato tele e pennelli e si è messa  a lavorare di spatole, pettini e coltelli (per ora ha lasciato perdere i moschetti). «Mai preso un pennello in mano» ha dichiarato «a scuola, a educazione artistica, non ero brava, non sono un’appassionata d’arte e l’idea della tela bianca da riempire mi ha sempre turbato. Un giorno di settembre, però, sono uscita con mio figlio Romano e ho comprato tele e colori». Ora le sue opere sono in mostra. Certo, non era facile per una Mussolini competere col genio proteiforme di nonno Benito, capace di essere contemporaneamente cavallerizzo, tennista, sciatore a torso nudo, tombeur de femmes, motociclista, raccoglitore di grano, instancabile scopatore, scrittore, giornalista e – nei ritagli di tempo – dittatore. Ma Alessandra ha raccolto la sfida e – chissà quanto c’è di freudiano in tutto ciò – ha scelto l’arte del più acerrimo nemico del nonno, quella dell’imbianchino austriaco. Insomma, dopo la ribellione dei nudi giovanili, un altro modo per prendere a manganellate il passato di famiglia: perché all’inconscio non la si fa.

La memoria rende liberi

memoria

Abeasis Alberto, Abeasis Clemente, Abeasis Ester, Abeasis Giorgio, Abeasis Rachele, Abeasis Rebecca, Abeasis Renato, Abel Otto, Abeles Francesca, Abenaim Elia Giuseppe, Abenaim Ettore, Abenaim Mario, Abenaim Oreste, Abenaim Ottorino, Abenaim Renzo, Abenaim Teofilo, Abenaim Wanda, Abenimolo, Aboaf Abramo Marco, Aboaf Achille, Aboaf Gino, Aboaf Giuditta Rita, Aboaf Guido, Aboaf Ida, Aboaf Regina, Aboaf Salomone Girolamo, Aboaf Umberto, Abolaffia Rebecca, Abolaffio Adolfo, Abolaffio Camelia, Abolaffio Emilia, Abolaffio Guido, Abolaffio Regina, Abolaffio Simeone Edgardo, Abolaffio Wanda, Abraham Arminio, Abraham Carlotta, Abraham Fanny, Abraham Hilde Fanny, Abraham Yvonne, Abrahamson Betty, Abrahamson Berta…

Da Il libro della Memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-45) di Liliana Picciotto.

C’è un giudice a Düsseldorf

giudice

«L’Italia è la patria del diritto» dice Renzi. No. La patria del diritto è la Germania. «C’è un giudice a Berlino» si diceva ai tempi di Federico il Grande. Oggi c’è un giudice a Düsseldorf, e ha stabilito con una sentenza che pisciare in piedi è un diritto inalienabile del maschio. All’origine di tutto, la causa fra un padrone di casa e un inquilino, considerato responsabile di aver danneggiato il pavimento sottostante il water per la sua inveterata abitudine di pisciare in piedi. Ma il giudice ha dato ragione al pisciatore (a quanto pare in Germania esistono lobby e gruppi di pressione che vorrebbero obbligare tutti quanti a pisciare seduti). Si può discutere della sua scarsa abilità nell’arte della minzione, ma non gli si può negare un diritto acquisito da milioni di anni. Da quando Homo ha raggiunto la posizione eretta, il maschio della specie ha smesso di accucciarsi o alzare la zampa. Civiltà e storia sono fatte di architetture falliche, ma anche di gare a chi piscia più lontano o contro il sole, come insegna Rabelais (Gargantua e Pantagruele, cap. XI). Da oggi, fatta salva la prudenza di evitare il controvento, nessuno potrà vietarci di pisciare in piedi: c’è un giudice a Düsseldorf.

http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_24/germania-tribunale-autorizza-uomini-fara-pipi-piedi-cdb7c364-a3fa-11e4-808e-442fa7f91611.shtml

Tre minuti a mezzanotte

2minuti

Non accadeva dal 1983, al culmine della guerra fredda. Peggio era andata solo nel 1953, quando sembrava che il mondo, appena uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, fosse ancora sul punto di precipitare nel baratro della catastrofe (stavolta nucleare). Dopo anni in cui era fermo a – 5, l’orologio dell’apocalisse, pensato dall’Università di Chicago nel 1947, si è spostato avanti di due minuti. Non solo i pericoli di guerra, ma anche i cambiamenti climatici fanno temere le cose peggiori. Cosa succederà? Niente; come al solito. Tutto andrà avanti allo stesso modo, fidando nella fortuna e nella buona volontà degli uomini comuni. Dopo il crollo del muro di Berlino e dei regimi comunisti la lancetta fu spostata indietro fino a 17 minuti a mezzanotte: pessima idea, troppo ottimismo e poca superstizione. Meglio l’avessero spostata a -16. Il 17, è evidente, porta male.

La parte posteriore del cammello

Cammello

La parte posteriore del cammello è il titolo di un racconto di Francis Scott Fitzgerald. Uno dei racconti dell’età del jazz. Un titolo bizzarro, che, come riconosce lo stesso Fitzgerald, potrebbe racchiudere un racconto metaforico, simbolico, a chiave, o viziato da un surrealismo tale da renderlo incomprensibile al suo stesso autore. In realtà non è così. La parte posteriore del cammello non è un simbolo, un’immagine, un’idea metafisica, è veramente la parte posteriore del cammello. Solamente il cammello non è tale. Non è un vero cammello ma un costume carnevalesco da cammello, che prevede, per essere indossato, la presenza di due attori: uno per la parte anteriore e l’altro per quella posteriore. Ma nel nostro racconto la parte posteriore non c’è: non c’è nessuno che voglia indossare quella metà di costume, non c’è nessuno che voglia fare il cammello con il protagonista. Quindi, in fin dei conti, il titolo del racconto non è metaforico, ma il racconto invece lo è. Fitzgerald stravolge le carte: ci dice una cosa – nella sua introduzione – per renderci più difficile il cammino dentro il proprio testo, non per facilitarcelo. La parte posteriore del cammello è un po’ come Il grande Gatsby; un racconto d’attesa. La parte posteriore infine arriva, ma non è quella che ci sia aspetterebbe. Forse non è la parte posteriore.

Quei meravigliosi occhi di grasso

Brodo

Quei meravigliosi occhi di grasso che si formano sulla superficie del brodo. Giallognoli, cremosi, quasi rigidi se mettete la pentola al freddo. Parlano di un passato che ci è irrecuperabile, un passato fatto di nonni-bambini, stanze fredde, scaldini, geloni e scarligüra, quel primitivo patinoire fatto di neve e gelo (erano anni in cui il gelo non mancava) su cui scivolavano zoccoli di legno, piccoli sederi magri e ossuti o sontuosi deretani matronali, caduti inavvertitamente nella trappola. Parlano, mi parlano, quegli occhi, e quando sollevo il coperchio della pentola li ascolto. Ascolto loro, perché le voci che mi girano attorno mi distraggono, mi assordano. Non sono voci, sono cacofonie, rumori, nel migliore dei casi latrati. Ascolto questi occhi e vorrei accarezzarli, farli miei, guardare il mondo attraverso di essi. Così bevo una tazza di brodo. Il grasso mi fa posto accanto a sé. Salto a piè pari negli zoccoli di legno e scarligo, scarligo, scarligo, dentro la pentola ai piedi dell’arcobaleno.

Tredici ragazzi, un pallone e Dio

ombrebambini

Tredici, sulla cassa del morto: ma la cassa del morto è una TV. Guardano una partita di pallone, nazionale irakena. Vengono scoperti, portati fuori, uccisi in pubblico a colpi di mitra. Tredici ragazzi che insultavano Dio, il profeta e la sharia guardando una partita in TV. È successo a Mosul, la seconda città dell’Irak, in mano all’IS da giugno. La città di cui John Cantlie, ostaggio britannico dello Stato Islamico, esalta il buon vivere in un video da poco diffuso su youtube: ospedali funzionanti, mercati colmi di merci, sole caldo – anche il meteo è dalla parte del califfo–: mancano solo i ristoranti sempre pieni e i treni in orario. E mancano tredici bambini. Finiti chissà dove, perché nemmeno i loro genitori hanno avuto il permesso di recuperarne i corpi.

P.S. Questa notizia, apparsa sulla stampa, ha fonti irakene e giordane. Non si può escludere che sia falsa o gonfiata. Tutti speriamo lo sia.

Guarigione

scricciolo

Ieri, dopo giorni di influenza, mi sono finalmente svegliato senza febbre. Era il mio compleanno. C’era il sole – la febbre era coincisa con giorni di pioggia. Uno scricciolo, l’uccello dell’inverno, si infilava in un rovo coperto di bacche rosse cercando di beccarle. L’aria resa concreta dall’umidità faceva le cose pulite e trasparenti. Si potrebbero dire altre banalità, la sintesi è che, guarito io, sembrava guarito anche il mondo. La febbre l’aveva ripulito. Poi sono andato a guardare le notizie: tutto uguale, niente era cambiato. La febbre non era passata: si era alzata. Il mondo non era guarito. Spero di essere guarito almeno io. Almeno lo scricciolo.